La scoperta della presenza di una malattia terminale modifica inevitabilmente le dinamiche relazionali all’interno di ogni sistema familiare.
La comunicazione della diagnosi appare uno dei momenti più brutti. Crollano le certezze, si modificano repentinamente i progetti di vita e le aspettative future. Tra le tante domande che ci si pone, una tra tutte sembra riecheggiare nella mente di ognuno “Che ne sarà di noi d’ora in poi?”.
Disperazione mista a speranza portano l’intera famiglia a negare quella diagnosi, a recarsi ora da uno, ora da un altro medico specialista alla ricerca di una risposta altra. Una qualsiasi, basta che non sia quella.
La presenza di univocità nelle consulenze richieste, purtroppo, spegne pian piano la fiammella della speranza. Rimane l’amara realtà che qualcosa è cambiato per sempre. La disperazione lascia il posto alla rassegnazione e la malattia di un membro diventa la malattia dell’intera famiglia.
I rapporti diventano più stretti, le distanze si accorciano, si modificano le modalità di relazioni instaurate fino a quel momento tra i membri familiari: capita, ad esempio, di provare amarezza nel non riuscire a soddisfare una qualsiasi richiesta della persona cara, così da trovarsi spesso ad assecondare, se non tutte, la maggior parte delle richieste poste dalla stessa. Questo perché, sovente, ci si trova a dover pensare, purtroppo, all’eventualità che la persona cara possa non riuscire a sconfiggere la malattia e il sol pensiero di non poter far di tutto per assecondare un suo qualsiasi desiderio non fa che aumentare sentimenti quali senso di colpa e di impotenza dei membri familiari.
Il senso di colpa, infatti, è ciò che si percepisce maggiormente: senso di colpa per non averlo scoperto prima, per non riuscire ad essere di conforto o per non riuscire ad aiutare in modo opportuno, senso di colpa per non esser riuscito a cambiare le cose o addirittura per non esser riuscito ad evitare che succedesse, che venisse contratta la malattia.
Seppur infondate, sono queste le percezioni che si possono presentare in simili circostanze, perché di fronte ad una malattia incurabile, non ci si può che sentire impotenti nel gestirla, nel riuscire ad affrontare le paure e le sofferenze del proprio caro, nell’essergli di conforto e nel gestire, talvolta, anche le relazioni e le comunicazioni che avvengono con il personale medico che se ne prende cura. Non di rado, purtroppo, accade tutto molto in fretta, troppo, rendendo le persone quasi del tutto spaventate e disorientate.
L’amore e l’affetto verso il proprio caro potrebbero, talvolta, far perdere lucidità alla famiglia, rendendola spesso diffidente e rifiutante verso qualsiasi tipo di comunicazione negativa da parte di un medico specializzato, tanto da finire con il decidere di tacere al paziente stesso il suo stato di salute. La fase di terminalità della malattia mette sempre a dura prova l’intera famiglia che, con atteggiamenti di negazione, ostinazione e caparbietà, da una parte riesce a spronare il proprio caro a reagire e a non arrendersi mai, dall’altra, però, potrebbe perdere di vista quelli che sono i suoi reali bisogni, la sua opinione e il suo punto di vista, ma, trattandosi della sua vita, è giusto che sia lui stesso ad essere consultato qualora ci si trovi di fronte ad una decisione da prendere, consigliandolo, certo, senza mai lasciarlo solo, ma coinvolgendolo sempre nelle decisioni riguardanti il suo stato di salute.
Non risulta mai facile prendere delle decisioni in queste circostanze. Spesso, ciò che preme di più alla famiglia è cercare di diminuire quanto più possibile la sofferenza del proprio caro e per riuscirci, solitamente, finisce con l’addossarsi tutte le responsabilità e le incombenze che si presentano. Il rischio di non reggere tale peso, però, è troppo alto ed è per questo che pazienti e familiari dovrebbero avere la possibilità fin da subito di poter esser supportati da figure professionali in grado di poter contenere il loro dolore e le loro sofferenze. Un intervento psicologico tempestivo è fondamentale, non solo per la persona che sta male, ma per tutti i membri della famiglia che vivono quel dolore, giorno dopo giorno, con la consapevolezza della gravità delle condizioni del proprio caro, affiancata sempre alla speranza che qualcosa di straordinario possa accadere.
Un intervento che miri a sostenere l’intera famiglia, supportandola durante l’intero percorso della malattia, con l’obiettivo di individuarne i suoi bisogni, di contenerne il dolore, di lavorare sulla ridefinizione del sé, del contesto e delle relazioni, che con l’avvento della malattia non hanno fatto altro che modificarsi, sull’elaborazione dei loro vissuti, sulle loro paure, sulle risorse possedute, sulle loro consapevolezze e talvolta su ciò di cui, invece, non hanno contezza perché troppo impauriti per chiedere spiegazioni più dettagliate, con il rischio, non raro, di non comprender bene ciò che sta loro capitando. L’uso di un linguaggio comune e facilmente comprensibile da tutti è necessario per dar loro la possibilità di comprendere appieno tutto ciò che succede, le condizioni in cui riversa il paziente, le eventuali cure e le terapie da seguire, così da non creare in loro dubbi o incertezze sul loro stato di salute, in modo di dar loro la possibilità di esprimersi in maniera consapevole sulle eventuali decisioni da dover prendere, ma soprattutto in modo da non creare false aspettative laddove, purtroppo, queste non potranno essere realizzate.