L’alienazione parentale prevede un rifiuto netto e immotivato del figlio nei confronti di un genitore. Tale rifiuto deve essere non solo psicologico, ma anche fisico. Ragion per cui non si può prescindere da un contesto di separazione quando si parla di AP perché, la sola presenza fisica di entrambi i genitori nel quotidiano del figlio, fa si che quest’ultimo non possa rifiutare di vedere o di stare con uno di essi, semplicemente, perché vive con essi. In questi casi è possibile, invece, poter riscontrare delle dinamiche conflittuali tra figlio e genitori che potrebbero (e dovrebbero) essere affrontate, ad esempio, attraverso un sostegno psicologico in cui elaborare e ristrutturare il significato del conflitto, sviluppando delle strategie utili per riuscire a comunicare direttamente sul disagio da lui provato in quel determinato momento di vita.
Questo non vuol dire che in un contesto di separazione ci si trovi automaticamente in condizioni di alienazione parentale. Un rapporto conflittuale tra un figlio e un genitore, in separazione dall’altro, potrebbe presentarsi anche in situazioni di scontri e litigi continui tra i due laddove non vi è, però, un rifiuto categorico del genitore. In questi casi, la soluzione potrebbe essere, ad esempio, un riequilibrio dei tempi di frequentazione in modo da dare la possibilità al figlio di rafforzare il legame con entrambi i genitori in egual modo.
Diversa è la situazione in cui, in presenza di un contenzioso civile, un figlio inizia a rifiutare categoricamente ogni contatto fisico di un genitore a causa dei comportamenti devianti dell’altro.
Per rendere possibile tale fenomeno è necessario che il figlio sia piccolo o quantomeno che, all’epoca della separazione, fosse abbastanza piccolo da non riuscire a sottrarsi dalle continue mistificazioni attuate dal genitore dominante a seguito delle quali inizia a ridefinire negativamente il significato di qualsiasi comportamento dell’altro genitore che qualunque cosa fa, finisce per sbagliare agli occhi del figlio.
Situazione complessa in cui ognuno dei componenti della famiglia coinvolta contribuisce, direttamente e indirettamente, a render possibile lo sviluppo di AP.
A tal proposito, riflettere sull’importanza del significato del contributo offerto da ogni membro familiare, significa concedere a tutti la possibilità di modificare la gravosa situazione creatasi.
In che senso?
Molti genitori rifiutati ritengono che riconoscere le proprie responsabilità voglia dire, necessariamente, prendersi la colpa di ciò che è accaduto. Comprendere in che modo e con quali comportamenti si è contribuito a rendere possibile il rifiuto del proprio bambino significa, invece, riacquisire il potere per riuscire a modificare la situazione, calandosi nei panni del proprio figlio al fine di comprendere dove si è sbagliato e in che modo poter cambiare per riconquistare la sua fiducia al di là dei comportamenti ostativi dell’altro genitore.
In questo senso, riconoscere le proprie responsabilità significa riqualificarsi agli occhi del proprio bambino, rIacquisendo fiducia e consapevolezza delle proprie risorse.
Questo il leitmotiv della giornata di supporto psicologico ai genitori rifiutato che si terrà a Cosenza il 27 aprile 2019: Come mai tuo figlio rifiuta proprio te?