#1 – Nessuno sa, tutti sanno
Il classico “io non ti ho detto niente” è una variabile presente, almeno una volta, in tutte le famiglie (per lo più invischiate). Sentirsi raccontare un “segreto” che poi si rivela non tanto segreto agli occhi di tutti all’infuori del soggetto in questione che finisce, il più delle volte, per essere l’unico all’oscuro di quella rivelazione.
Ma quali sono le motivazioni che spingono a rivelare tali segreti? E quali sono le possibili conseguenze?
Solitamente, ciò che spinge alla rivelazione può essere il desiderio di voler mantenere l’unità familiare attraverso la condivisione di gioie e dolori: non sia mai che qualcuno non sappia cosa succede all’altro perché questo potrebbe essere il preludio della perdita dell’unità (invischiamento) familiare. Ma ognuno di noi è un individuo a sé e, per tal motivo, detentore di una libertà personale che gli permette di aprirsi e condividere il proprio vissuto e le proprie esperienze con tempi e modalità proprie. Il contrario comporta la perdita di quella stessa libertà che permette all’individuo di definirsi e differenziarsi dagli altri componenti familiari, pur mantenendone gli affetti e le relazioni, insieme alla possibilità di potersi nuovamente fidare e confidare all’altro senza il timore di sentirsi, ancora una volta, traditi.
#2 – Siete fratelli, dovete volervi bene
Quasi per imposizione, non può esserci tra fratelli alcun sentimento di rabbia o delusione, tanto meno è concesso provare rivalità o gelosia. Bisogna, al contrario, necessariamente volersi bene e andare d’accordo sempre, in ogni situazione, senza discussioni. Un mandato familiare, questo, così pesante che non lascia a nessuno la possibilità di confrontarsi sinceramente, di scontrarsi e di incontrarsi nuovamente solo successivamente e solo dopo essere riusciti a definirsi, chiarendo la propria posizione. Se questa può sembra, inizialmente, la strategia migliore per mantenere saldi rapporti familiari, la repressione delle emozioni non può che portare a delle vere e proprie esplosioni di rabbia incontrollata e decontestualizzata che, in seguito, non daranno a nessuno la possibilità di affrontare e condividere quello che può essere l’oggetto (vero) del conflitto.
#3 – Tutti i figli sono uguali
Quanto più ingannevole può sembrare agli occhi dei figli questa affermazione che, di fatto, non può e non potrà mai rivelarsi reale. Ogni figlio, in quanto individuo a sé, è diverso dall’altro e, per tal motivo, differenti saranno le sue richieste nei confronti del genitore che, inevitabilmente, si approccerà differentemente verso l’uno o l’altro. Si pensi ad un figlio bisognoso di cure e attenzioni, magari con qualche difficoltà evolutiva: il genitore non potrà che sentire la responsabilità di mostrarsi più presente e protettivo nei suoi confronti. Al contrario, un figlio che si mostra più autonomo e indipendente, non riceverà lo stesso tipo di attenzioni per il semplice fatto di esser percepito più sicuro e in grado di badare a sé. Le richieste di cura differenti dell’uno e dell’altro figlio non potranno che attivare diversamente il genitore. Ciò che trasforma queste genuine differenze in un senso di ingiustizia, rivalità e gelosia fraterna, non è il differente comportamento del genitore, ma la sua totale e continua negazione di quanto è, invece, evidente agli occhi del figlio.
#4 – Hai ragione, ma cerca di capirlo/a
Se con questa alternativa si pensa di sfuggire ad un possibile schieramento, in realtà, non è così. La potenza e l’ambiguità di questa definizione non fa che accrescere rabbia e distanza emotiva tra le parti. Le riflessioni più immediate potrebbero essere:
– Se pensi che io abbia ragione perché mi spingi a comprendere il comportamento dell’altro?
– Se devo (e posso) essere comprensivo, allora mi sento (e mi fa sentire) “al di sopra” dell’altro che, di fatto, “non ce la fa” a comportarsi in maniera più adeguata e corretta perché “al di sotto”.
– Se mi sento (e mi metti in una posizione) “al di sopra” dell’altro, sentirò un maggiore potere nella relazione perché capace di far fronte alle cose “passando su, comprendendo”.
#5 – Diglielo tu che così non ci si comporta!
Deleghe e triangolazioni stanno alla base di quelle dinamiche in cui i membri familiari difficilmente riescono ad affrontare attriti e malumori in maniera chiara e diretta, il più delle volte, non riuscendo a definirsi veramente. In queste situazioni a subentrare è colui che detiene il ruolo di mediatore che, solitamente, mantenendo un atteggiamento ambiguo e compiacente, riesce a ristabilire la (finta) pace tra i membri confliggenti. In questo caso, si potrebbe avere la sensazione, dall’una o dall’altra parte, di sentire l’appoggio del mediatore che, di fatto, sembra essersi schierato dalla parte di colui con cui, in quel momento, ha l’interazione. La sua destrezza nel mantenersi di parte e, al tempo stesso, neutrale spiazza completamente il suo interlocutore che, di fatto, finisce con l’assecondarlo nella richiesta (si riprenda il punto 4!).
#6 – È sempre colpa tua!
Non importa cosa accada, dove o come si sia arrivati ad una situazione, in ogni caso, la colpa degli avvenimenti negativi ricade sempre e solo sullo stesso membro familiare che, solitamente, fa da capro espiatore, risparmiando a tutti gli altri membri gli oneri (e non gli onori) di quell’evento sfavorevole. Il più delle volte questo ruolo è affidato (più o meno consapevolmente) al membro percepito più in grado di reggerne la pressione evitando, così, agli altri le responsabilità dei loro comportamenti. Se così non fosse, gli equilibri (di fatto, instabili) della famiglia rischierebbero di crollare portando con sé quel senso di armonia familiare faticosamente costruito nel corso del tempo.